2) Il ‘Piano Nobile’
Una volta superato l’ostacolo delle scalinate ovvero penetrando da una finestra o dalla terrazza, si accede a quella che era la Zona Notte di Villa Works. Qui si trovano la suite padronale ed altri alloggi, un tempo abitati dal personale di servizio della villa ovvero per gli occasionali collaboratori in visita. Da questo piano, per mezzo di una scala a chiocciola, si accede alla mansarda.
Rispetto al piano terra, tutti gli ambienti di questo livello sono arredati per il massimo comfort con ogni moderna amenità. Qui si trova anche lo studio privato di Stephen Works, dove di fatto trascorreva la gran parte del suo tempo a lavorare e progettare le sue prossime imprese quando si trovava alla villa.
Pianerottolo, corridoio e balconata
Salendo dalle scale si arriva ad un ampio pianerottolo che si diparte in entrambe le direzioni da est ad ovest divenendo un ampio corridoio mentre verso sud segue il perimetro guardando sulla Hall sottostante, protetto da una ringhiera in legno massello tornita e scolpita con gli stessi motivi dei corrimano delle scale, di cui di fatto è un prolungamento.
Proprio di fronte alle scale c’è l’ingresso – con porta a doppio battente – della suite di Stephen Works; procedendo verso destra si accede alle camere dell’ala est; Il corridoio termina con la scala d’accesso alla soffitta/mansarda.
Sul lato ovest, il corridoio da accesso allo studio privato di Stephen Works e ad un’altra camera da letto.
Le due appendici meridionali danno accesso alle ultime due stanze del piano, una delle quali (quella ovest) è stata trasformata in un soggiorno mentre la dirimpettaia è al momento vuota.
Camera da letto padronale
Questa ampia stanza era la dimora di Stephen Works (e della sua eventuale fiamma del momento, quando e se si premurava di averne una) è una strana commistione di antico e moderno, in quanto le finiture sono tipicamente vittoriane mentre l’arredamento è moderno, con un sistema-letto all’avanguardia, una toeletta, uno scrittoio (questo è un pezzo d’antiquariato) e due comodini.L’ampio letto poggia sulla parete destra, sul lato nord della stanza una ampia finestra (ed intendo veramente ampia: da terra al soffitto!) con al centro una porta finestra a doppia anta che permette di accedere all’ampio balcone.
La finestra è priva di scuri in quanto i vetri sono pannelli fotocromatici che all’occorrenza – come di notte – possono essere oscurati elettronicamente, un ben strano anacronismo che però mantiene integra la facciata dall’interno e dall’esterno.
Sul lato sinistro (ovest) della stanza sono stati ricavati l’ampio bagno padronale ed una maestosa cabina armadio, chiuse entrambe da porte a scomparsa, a vetri quella del bagno, piena quella della cabina.
Come si può facilmente immaginare, il bagno è quanto di più moderno e costoso si possa immaginare: pavimenti e pareti lastricati in marmo, sanitari hi-tech all’ultima moda, un box doccia realizzato interamente in cristallo ed una Jacuzzi in grado di ospitare 3 persone alla volta.
La cabina armadio contiene ancora tutti gli abiti e la biancheria appartenuti a Stephen Works, per la gran parte abbigliamento casual (ma costoso in quanto delle migliori marche e confezionato esclusivamente con fibre tessili naturali – anche se lavorate con tecniche moderne) ed una collezione di scarpe – la maggior parte delle quali Sneakers – da fare invidia ad un millepiedi.
Nota per il GM: la cabina nasconde un piccolo segreto: il pannello sul fondo è in realtà mobile, costituito da due ante che si aprono verso l’interno della cabina. Dietro c’è una vetrina blindata 3x2 con vari ripiani e rastrelliere, contenente armi – una Colt 1908 calibro .380 ACP placcata in oro con guancette del calcio in madreperla e relative munizioni (una scatola da 50 cartucce) – gioielli – gemelli in oro e platino, fermacravatte, due Rolex, di cui un Daytona d’oro – e ammennicoli elettronici vari – tutti prototipi di prodotti che non erano ancora stati immessi in commercio – e svariati dispositivi, chiusa da una serratura palmare ovviamente tarata sui parametri di Stephen Works.
Di tutti gli ambienti della casa, questa suite è l’unica a non essere coperta dai sensori e dai dispositivi di sorveglianza elettronica. Il padrone di casa era molto attento alla propria privacy (non altrettanto di quella degli altri).
Lo studio privato
Questa stanza è un vero e proprio guazzabuglio di moderno, post-moderno, antico e hi-tech, tutto buttato insieme in una cacofonia piuttosto kitsch. Una scrivania d’epoca campeggia in bella vista, spalle alla finestra; alle pareti, poster, lavagne magnetiche e bacheche piene di appunti e ritagli vari, varie fotografie – che ritraggono principalmente il padrone di casa nei vari momenti della sua vita e della sua carriera – uno schedario e in un angolo una pregevole cassaforte d’epoca.Sulla scrivania c’è un personal computer – prodotto rigorosamente dalla Apricot – nei cassetti, oltre a fogli, documenti vari e materiale di cancelleria, ci sono anche vari dischi (di tutti i generi, dai floppy disc alle cartucce, passando per CD e DVD) di software, il più dei quali obsoleti già molto prima della Caduta, conservati per ragioni sentimentali da Works.
Il PC è perfettamente funzionante ma l’accesso è protetto da password e da uno scanner di impronte digitali.
La cassaforte è di tipo analogico, nel senso che è un pezzo d’antiquariato dotato di serratura a combinazione e chiave. Se e quando qualcuno dovesse riuscire ad aprirla, vi troverebbe un vero e proprio tesoretto custodito all’interno: titoli di credito al portatore (per un controvalore di 2,5 milioni in dollari, sterline e franchi svizzeri), 5 lingotti d’oro da 1 kg e 150mila dollari in tagli da 20, 50 e 100 suddivisi in mazzette, più tutte le carte di credito appartenute a Stephen Works.
La chiave e la combinazione della cassaforte si trovano in uno scomparto segreto della scrivania assieme alla planimetria dettagliata della villa e di tutte le modifiche apportate da Works quando è stata ricostruita. Lo scomparto si trova nel doppiofondo dell’ultimo cassetto di sinistra, per aprirlo occorre aprire il cassetto e sbloccare la serratura premendo su un pulsante posto sul fondo del cassetto stesso. C’è però un ulteriore sistema di sicurezza da sbloccare per evitare che all’apertura scatti la trappola letale che protegge il doppiofondo, una levetta incassata nel bordo inferiore del cassetto. Se non si disarma la trappola, al momento dell’apertura del doppiofondo un meccanismo a molla occultato nella sponda laterale scatta non appena si solleva il pannello, colpendo la mano dell’intruso con un ago telescopico, simile a quelli usati un tempo per l’inoculazione dell’antivaiolosa, solo che in questo caso viene iniettata una dose letale di TTX (Tetrodotossina, il veleno del pesce palla) che agisce come un veleno di classe D (POT = 17).
Nota per il GM: c’è un altro e ben più importante segreto occultato in questa stanza: l’ascensore che conduce direttamente al bunker antiatomico sotto la villa. L’ascensore è stato installato nell’intercapedine che separa il divisorio dello studio dal muro perimetrale, è piuttosto claustrofobico (1x1 metro) e vi si accede dopo aver aperto il pannello segreto che si trova tra la cassaforte e lo schedario, sulla parete ovest della stanza; all’interno c’è una serratura elettronica a combinazione, tastiera + sensori biometrici (retina, impronte digitali e vocali) ma in realtà è tutta scena: essendo un dispositivo d’emergenza, da utilizzarsi nell’immediato, basta premere la combinazione di tasti Annulla + Cancelletto e digitare la combinazione 092291 (la data di nascita di Stephen Works scritta all’americana) perché una sezione della parete si apra scorrendo dentro il muro e rivelando l’ascensore.
Una nota per i saggi: 22-9-91 è la combinazione per aprire la cassaforte.
Lo schedario può essere interessante solo ai fini storici, in quanto custodisce tutta la documentazione catastale della proprietà, vari contratti ed i fascicoli del personale di quanti lavoravano a stretto contatto con Works ovvero operavano all’interno della proprietà. Tra questi dossier ce ne sono due di particolare interesse e riguardano Pamela Powell e Concita Gutierrez, rispettivamente l’infermiera privata e la domestica di Works, cioè le uniche due residenti fisse della villa, i cui appartamenti si trovano su questo stesso piano.
Camera degli ospiti
Nota bene: la descrizione che segue si adatta a tutte le camere che si trovano al primo piano, ad eccezione dei due vani – il soggiorno e la stanza incompleta – alla fine dei rami meridionali del corridoio.
Questa ampia camera da letto, con bagno e guardaroba annessi, è arredata in maniera sobria con mobili moderni: un letto a una piazza e mezzo con annesso comodino, una scrivania con una comoda poltroncina tipo ufficio, una libreria.
Una porta scorrevole a vetri da accesso al bagno, completo di sanitari stato dell’arte e box doccia ed un mobiletto con specchiera.
A fianco del bagno, una porta scorrevole in legno chiude la cabina armadio/ripostiglio.
Questa stanza è disadorna, non c’è segno di personalizzazione, segno che – pur essendo disponibile – non era destinata all’uso continuativo.
Camera di Pamela
In questa camera da letto – che si trova lungo il corridoio orientale, a fianco della suite padronale – ci sono tutti i segni che denotano una permanenza prolungata: sulla libreria sono presenti diversi testi, principalmente di narrativa e saggi a carattere medico, nell’armadietto del bagno ci sono diversi farmaci – tutti prodotti generici, da banco – nella cabina armadio ci sono vari abiti da donna ed una serie di uniformi professionali da infermiera e un portagioie.
Un laptop si trova sul ripiano della scrivania ed uno smartphone marcato rigorosamente Apricot si trova sul comodino. La batteria è esausta da tempo ma la stazione di ricarica è ancora collegata alla rete e funziona perfettamente.
Il laptop è protetto da password e comunque contiene appunti e documenti personali ed un diario della Powell. Quest’ultimo potrebbe essere interessante in quanto riporta, con una certa dovizia di particolari, lo stato mentale e le condizioni di salute di Stephen Works nel periodo in cui Pamela se ne è presa cura ed alcune annotazioni, piuttosto preoccupate, su quelle che la donna riporta come una forma di delirio ossessivo riguardante l’immortalità e lo stato sempre più ansioso di Works mano a mano che la sue condizioni peggioravano.
Camera di Concita
Questa camera si trova nell’ala est, dirimpetto alla camera occupata da Pamela Powell. L’arredamento di base è il medesimo, cambia ovviamente il contenuto della cabina armadio. Un grande peluche si trova sul letto, uno smartphone è posizionato sulla sua base di ricarica sul comodino e sulla libreria ci sono libri (pochi, essenzialmente narrativa), riviste (parecchie, molte di moda e altre dedicate alla cura della casa, della persona e del giardino) e svariati soprammobili.
Concita non aveva un personal computer ma teneva un diario, che è ‘nascosto’ tra fogli e documenti nel cassetto della scrivania. Nel diario ci sono per lo più annotazioni personali, la preoccupazione per il numero sempre più cospicuo di robot in giro per la casa, la paura per le ‘bestie assassine’ che vanno in giro di notte (i cani da guardia bionici) e la cotta prorompente per ‘Michael’ (un giovane tuttofare impiegato saltuariamente da Works).
Una fotografia incorniciata sul comodino mostra una giovane ispanica con quelli che con ogni probabilità sono i suoi familiari.
Soggiorno
Dal momento che era decisamente antieconomico tenere costantemente in funzione gli ambienti – prettamente di rappresentanza – al piano terra, Works ha fatto trasformare in soggiorno una delle camere da letto originali, quella sul lato occidentale che guarda sulla facciata principale.La stanza è stata sistemata ed arredata in modo da essere meno opprimente/severa rispetto agli ambienti originari del maniero, con un elegante tavolo da caffè, poltrone, una stazione multimediale completa (ma meno imponente/costosa di quella del salotto) ed un mobile-bar di dimensioni assai meno cospicue, tutti pezzi moderni. C’è anche un caminetto a gas, l’unica parte originale rimasta.
È in questa stanza che le due uniche occupanti fisse della proprietà passavano le loro ore libere ovvero le giornate quando ‘il capo’ era fuori per lavoro o in giro per il mondo per qualche convenzione o progetto che richiedesse la sua presenza.
Lo stesso Works, quando soggiornava alla villa, usava frequentare questo ambiente una volta avutane abbastanza di lavorare e rimuginare nel suo studio.
Insieme alla cucina, forse questa stanza è una delle più normali dell’intero edificio.
Stanza incompiuta
È esattamente quel che sembra: una stanza desolatamente vuota, con vistose tracce di lavori iniziati ma mai completati.
3) La soffitta/mansarda
L’ultimo piano dell’imponente edificio, che comprende il sottotetto, in origine presentava delle camere da letto e delle stanze adibite a laboratori per la servitù. Quando Works ha fatto ricostruire l’edificio non è stato in grado di decidersi su come sfruttare l’area – inizialmente aveva pensato di trasformarla in un loft – fino a che il costante, progressivo acuirsi delle tensioni internazionali e la sua ‘chiamata alle armi’ da parte degli enti governativi della difesa non l’hanno convinto della necessità di dotarsi di precauzioni, riportando l’austera dimora nobiliare al rango originale di fortificazione di campagna.Le ampie metrature disponibili nel sottotetto erano ideali per impiantarvi tutte le attrezzature ed i dispositivi necessari.
La soffitta si presenta quindi come uno spazio aperto, i vari divisori eliminati, all’interno del quale si trovano le console, i cabinet e gli hub di rete dei radar di scoperta e dei sistemi opto-elettronici di sorveglianza e difesa, situati al centro dell’area.
La soffitta funge anche da… soffitta e vi sono numerose casse, bauli, mobili e suppellettili, vecchi e nuovi, qui stoccati perché ritenuti inutili o ridondanti. Ci si può trovare di tutto, compreso del materiale di costruzione avanzato dai lavori, vernici, dispositivi elettronici vetusti o malfunzionanti (che Works contava di risistemare, un giorno o l’altro), vecchi abiti e ammennicoli vari.
Di particolare interesse per il Team è però un grosso tavolo da lavoro, sul quale sono ammucchiati una pletora di materiali. Ad un esame ravvicinato, il materiale si rivela essere le dotazioni di un team Morrow – con ogni probabilità quello che li ha preceduti. Ci sono tutte le loro armi, munizioni e l’equipaggiamento, con tanto di distintivi che li contraddistinguono come appartenenti al Progetto.
In totale ci sono:
3 fucili d’assalto
1 lanciagranate
1 fucile a canna liscia
una dozzina di granate di vario genere (dirompenti, esplosive/perforanti, fumogene, antiuomo)
una dozzina di bomba a mano di vario genere (a frammentazione, fumogene, incendiarie, illuminanti)
4 pistole semiautomatiche
una ventina di caricatori per i fucili
una dozzina di caricatori per le pistole
2 lanciarazzi anticarro
1 sacca da demolizione M183
una dozzina di detonatori
Nota Bene: tutte le armi e gli equipaggiamenti sono dotazioni standard del Progetto ma nessuno vi proibisce di sostituirle con altre di vostra preferenza, purché rispettino i parametri sulle munizioni, che devono essere 9x19mm Parabellum per le armi corte, 5,56x45mm NATO per le armi lunghe, calibro 12 per le armi a canna liscia; alla fine dello scenario troverete la mia personale combinazione con tutte le specifiche.
Come detto all’inizio del capitolo, nella mansarda, per motivi di sicurezza, non sono presenti trappole ma in caso di allerta viene liberato uno sciame di droni, nascosti in alcune nicchie scavate nei pilastri. Questi droni – ce ne sono una dozzina – sono di tipo leggermente diverso rispetto a quelli che difendono il Salone dabbasso, in quanto, anziché di una carica esplosiva, sono armati con una coppia di cartucce calibro 12 – caricate a pallettoni #4 – esplose da canne lisce estremamente corte; l’effetto è pari a quello di un fucile a canne mozze: gittata cortissima ma devastante.
Nota per il GM: tutti i dispositivi elettronici di sorveglianza e di difesa sono controllati dalla AI nel bunker antiatomico ma la strumentazione fisica si trova qui, nella mansarda: da qui è possibile disattivare tutti gli strumenti, spegnendo fisicamente gli apparecchi ovvero interrompendone l’alimentazione. Tutti i dispositivi sono dotati di una batteria d’emergenza ma questa può alimentarli solo per un breve periodo (8 ore al massimo) e se si scollegano fisicamente dalla rete gli apparati, nemmeno la AI può riconnetterli perché semplicemente non ha le mani per poterlo fare!
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