Un
tesoro di una ricchezza inimmaginabile: stanze e stanze piene dal
pavimento al soffitto di manufatti degli Antichi di ogni genere, sono
lì, alla portata di chiunque voglia raggiungere Campo Paradiso,
l’antico complesso che ancora oggi – silenzioso e negletto –
attende intatto al centro della Desolazione; sempre che abbia
abbastanza coraggio e il cuore saldo per affrontare i Giardini del
Diavolo!
Antefatto.
Nel
bel mezzo della Guerra Finale, quando i vari contendenti stavano
dando fondo a tutte le loro risorse per sopperire alla penuria di
armi, mezzi e materiali dovuti allo spaventoso attrito della guerra,
si cominciarono a riesumare (talvolta letteralmente) vecchi parchi
mezzi, polveriere e depositi dimenticati da decenni – veri e propri
cimiteri degli elefanti – nelle cui viscere erano però contenute
migliaia di tonnellate di materiale, accantonato “in riserva”
mano a mano che il progresso tecnologico lo rendeva obsoleto ma che
era ancora in condizioni utilizzabili.
Si
sa che i militari sono gente dalla mentalità estremamente
conservatrice e che “non si butta via niente” perché “non
si può mai sapere” se prima o poi non ti tornerà utile quello
che oggi sembra essere di troppo.
In
questo caso specifico, la grettezza di qualche vecchio generale si
dimostrò essere lungimiranza, perché, tra la distruzione
generalizzata di ogni infrastruttura ad alta tecnologia e la paralisi
progressiva della produzione di quei pochi stabilimenti ancora
funzionanti, non c’era più modo di rimpiazzare le perdite di armi
e mezzi da combattimento hi-tech che avevano caratterizzato gli
eserciti combattenti all’inizio della guerra e qualunque cosa fosse
in grado di muoversi, sparare e – in definitiva – combattere era
più che bene accetta.
Fu
così che – su ogni fronte del pianeta – accanto alle armi
elettromagnetiche e ad alta energia, alle tute da battaglia e ai
mezzi corazzati a cuscino d’aria e a levitazione magnetica,
cominciarono a ricomparire carri armati e autoblindo, elicotteri,
cannoni e obici, lanciarazzi e fucili, mitragliatrici e ogni altro
implemento di guerra possibile ed immaginabile risalente al XX e al
XXI secolo.
Campo
Paradiso era uno di questi depositi: una vecchia polveriera in
un’area remota e desolata del paese, dove venivano custodite in
origine le munizioni usate dalle basi militari circostanti e che, col
passaggio alle nuove tecnologie, era stata declassata a deposito di
stoccaggio e posta alle dipendenze di un esiguo reparto di soldati
troppo vecchi per servire in prima linea oppure inviati in quella
specie di deserto dei Tartari perché troppo indisciplinati
e/o indolenti.
Il
nome della base è ovviamente una garbata presa in giro, perché in
questo posto dimenticato da Dio e dagli uomini c’era ben poco di
paradisiaco a meno che il vostro concetto di paradiso non
includa l’assenza di qualunque forma di vita umana nel raggio di
svariati chilometri, un clima infame ed un panorama talmente desolato
da far apparire pittoresco un deserto.
Solo
il comandante del Campo, un colonnello considerato dai più uno
scoppiato senza speranza e ormai alle soglie della pensione,
tutt’altro che rassegnato e non poco inasprito dalla sua
estromissione da un comando operativo in tempo di guerra, sembrava
essere perfettamente a suo agio in questo buco d’inferno e fu lui
che decise di trasformare il vecchio deposito in un caposaldo degno
di questo nome, secondo l’assunto che le preziose munizioni
custodite nelle cripte dovevano essere negate a qualunque costo al
nemico.
Col
procedere della Guerra e l’uso sempre più massiccio di armi ABC
e l’attrito – in termini di uomini e materiali – che ne derivò,
l’alto comando alla fine decise di raschiare anche il fondo del
barile: ogni uomo abile doveva essere richiamato in servizio attivo
in prima linea.
Per
questo motivo, il bellicoso colonnello si vide privare anche del suo
sparuto reparto di spostati e rimase praticamente con uno striminzito
drappello di anziani riservisti; per garantire comunque la sicurezza
del deposito – che nel frattempo era stato smantellato e svuotato
di ogni materiale considerato utile – venne assegnata al colonnello
un’unità di Zomboidi™ programmati per difendere il
compound da qualunque intrusione o assalto nemico, quando e se mai si
fosse verificato.
Le
settimane divennero mesi, i mesi anni e gli anni decenni: la guerra
non arrivò mai alle soglie di Campo Paradiso perché nel frattempo
era finita, consumata dalla sua stessa hubris; anche il
colonnello morì, saldamente al suo posto di comando, dopo esser
stato abbandonato, molto tempo prima, dagli ultimi soldati umani,
ormai rassegnati e desiderosi solo di tornare “a casa” (anche se
spesso ben sapevano che “casa” non esisteva più).
Rimasero
solo ragni, topi e polvere a presidiare Campo Paradiso… loro e gli
Zomboidi™ immortali, eternamente vigilanti e obbedienti alle
ultime volontà del loro comandante.
Eppure
non sono loro la minaccia più terribile da affrontare, per arrivare
ai tesori nascosti di Campo Paradiso, perché per giungere
all’agognata meta bisogna prima attraversare i Giardini così
amorevolmente coltivati dal rancoroso e belligerante colonnello!
Come
stanno in realtà le cose.
C’è
una ragione se nessuno ha mai saccheggiato – fino ad oggi – le
risorse custodite nei depositi dell’antica polveriera ed è questa:
nessuno, di quanti hanno tentato nel corso degli anni di arrivarci è
mai giunto vivo ai suoi cancelli, per il semplice motivo che tutta la
regione circostante la base è un unico, immenso, letale campo
minato.
Chiunque
si addentra nei Giardini del Diavolo semplicemente ci lascia
le penne, senza se e senza ma!
Come
riportato nella narrativa, il colonnello Bastico (detto
Bombastico o semplicemente Bomba dai suoi superiori e
sottoposti per il suo atteggiamento militante al limite della
psicosi), benché relegato in un settore pressoché dimenticato delle
retrovie a fare di fatto il custode a quello che gli alti comandi
consideravano un (grosso) mucchio di ciarpame – ancorché del tipo
altamente esplosivo! - com’era nel suo carattere non se ne rimase
con le mani in mano e approfittando del fatto di avere alle sue
dipendenze riservisti provenienti per lo più da reparti del Genio e
dei servizi di supporto, si è adoperato per trasformare la vecchia,
negletta polveriera in un’installazione difensiva degna di questo
nome, adoperando sia gli assetti (in realtà abbastanza esigui)
assegnatigli – per lo più cannoni laser leggeri per uso contraereo
e lanciamissili a corto raggio – sia la panoplia di materiale
custodito nei depositi sotterranei, tra il quale spiccava una
dotazione, pressoché infinita, di mine – anticarro e
antiuomo – armi ufficialmente messe al bando dalle varie
convenzioni internazionali nel corso del XXI secolo e destinate
quindi alla distruzione ma in realtà semplicemente accatastate e
dimenticate.
Utilizzando
la sua esperienza sul campo nelle varie missioni “di pace”
e “di polizia” nelle zone più calde del globo
(ragione per cui, invece della agognata promozione a generale, si era
visto stroncare la carriera e privare di un ulteriore, qualsivoglia
comando operativo) e le conoscenze dei vecchi genieri ai suoi ordini,
sulla falsariga del suo idolo – il feldmaresciallo Rommel,
celeberrimo condottiero militare del XX secolo – il colonnello ha
realizzato la sua personale versione dei famigerati teufelsgartens
di cui ancora si favoleggiava nei circoli militari a oltre un secolo
di distanza dagli avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale,
disseminando in maniera scientifica per tutta la valle migliaia
di mine, che, per quanto obsolete, erano ancora perfettamente
efficienti, specialmente dopo che i genieri avevano sostituito, su un
discreto numero di esemplari viste le esigue risorse disponibili, le
originali spolette meccaniche con moderne spolette elettroniche
multimodali, in grado di registrare la presenza di un bersaglio
dalla sua segnatura magnetica, acustica e sismica, così da poter
essere efficaci anche contro gli ordigni di guerra più recenti, come
i carri armati gravitazionali e a levitazione magnetica o le nuove e
temibili armature potenziate.
In
alcuni casi, il colonnello ha disposto trappole nelle trappole, come
aveva fatto il suo illustre predecessore; non solo congegni
anti-rimozione ma anche mine sovrapposte ad altre mine ovvero
utilizzate come detonatori per altre mine “improvvisate”
utilizzando alcune delle granate di tipo più antiquato custodite nei
magazzini.
Delle
difese fisiche visibili della base, oggi non resta molto:
l’abbandono e l’entropia hanno avuto la loro parte nel renderle
inattive e/o un cumulo di ruggine ma la ragione principale è stata
la rimozione delle stesse, durante le fasi finali della Guerra
Finale, da parte dell’Alto Comando, per recuperare risorse meglio
utilizzabili altrove che non a far la guardia ad un vecchio deposito
dimenticato da Dio e dagli uomini nella estrema periferia della
nazione.
Quindi,
a parte un pugno di Zomboidi™ ancora attivi, benché decisamente
malmessi da decenni di negletto e intemperie, non c’è granché di
cui preoccuparsi per l’aspirante saccheggiatore di tombe degli
Antichi.
Il
vero problema sono le difese non visibili della
base, quelle disseminate certosinamente tutt’attorno al complesso,
eternamente vigilanti e in attesa di andarsene… via col botto!
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